Era prevista un'asta per l'acquisto del ramo sportivo della società, che in un esito positivo avrebbe garantito al Perugia di mantenere la propria presenza nel calcio professionistico. I debiti privilegiati da dover sostenere ammontavano però a circa 5 milioni di Euro, e deve essere apparso anti-economico a molti imprenditori dover investire una cifra del genere per l'acquisto di una società di calcio in un campionato privo di entrate televisive e con gli stadi mezzi vuoti.
Il rammarico è che si sia tentato di salvare la società solo a un mese dalla fine del campionato, con personaggi di dubbia caratura morale che si sono avvicinati al Perugia (uno per tutti, Nicola Ermini, che millantava l'appoggio di un gruppo internazionale e di una società finanziaria svizzera), mentre era sotto gli occhi di tutta la città la situazione di difficoltà economica in cui versava la società di Covarelli.
Infatti, già l'anno scorso ci furono problemi di iscrizione, che avvenne solo grazie all'intervento di un istituto di credito umbro che produsse una fidejussione da diverse decine di migliaia di euro per salvare la stagione. Il rammarico è prendere atto che il Perugia non è morto, per la seconda volta in 5 anni, per la gestione finanziaria sportiva (il cui debito ammonta in gran parte a 9 mensilità di stipendio dei giocatori), bensì per altri debiti per i quali era stato messo a garanzia. Ricordiamo in tal senso che il responsabile dell'area finanziaria era Dino De Megni, cognato di Leonardo Covarelli.
Cogliamo l'occasione come tifosi per scusarci pubblicamente con l'ex presidente Vincenzo Silvestrini, una persona seria che è stata erroneamente messa da parte per far posto ad uno come Covarelli.